Secondo giorno. Roma la cristiana.
Siamo partiti subito a chiese, dopo una giornata politeista. Vicino al nostro appartamento c’è un assoluto gioiello di stratificazione storica: SAN CLEMENTE. Seguitemi: sorta su un’abitazione bruciata dall’incendio di Nerone, tornata abitazione nel secondo secolo d.C., trasformata in parte in Mitreo, a sua volta diventato domus ecclesia di San Clemente, liberto martire sotto Domiziano le cui reliquie, riportate a Roma, furono conservate nella basilica eretta sopra la preesistente chiesa. Dunque, partendo dal fondo, ci si può immergere nel I secolo, con il tempio mitraico; salendo si percorre la storia fino alla chiesa del IV secolo con splendidi affreschi medievali, e continuando fino al piano terra si può ammirare l’attuale basilica del XII secolo, con affreschi del primo Rinascimento. Praticamente un biennio di scuola media in pochi scalini. Sepolto tra gli strati, San Cirillo, inventore dell’omonimo alfabeto. Una visita imperdibile.
Nelle vicinanze non si può omettere di visitare la basilica dei SANTI QUATTRO CORONATI, Castorio, Sinfroniano, Claudio e Nicostrato. La leggenda fa riferimento a quattro soldati che si rifiutarono di adorare la statua di Esculapio; ma si rumoreggia anche di quattro scultori dalmati che si rifiutarono di scolpirla. Questi scalpellini divennero, nel Medioevo, patroni delle corporazioni edili. Fu eretta nel IV secolo e ampliata nel VII. Splendido il chiostro, a cui si accede suonando il campanello e attendendo che le suore aprano la porta. Non da molti anni hanno scoperto una galleria sotterranea che collegava questa chiesa fortificata a San Giovanni in Laterano. Il Papa poteva così sparire in caso di pericolo.
E via, senza por tempo in mezzo, verso la basilica di SAN PIETRO IN VINCOLI, detta Eudossiana perché ricostruita da Eudossia minore, moglie di Valentiniano III, per adempiere a un voto fatto dai genitori attraverso la donazione, al Papa Leone Magno, delle catene con cui era stato tenuto prigioniero San Pietro a Gerusalemme. Incredibili le colonne doriche che dividono le navate, alte più di sei metri, nate per per un tempio greco e utilizzate in passato anche per la Prefettura di Roma. Al centro, le famose catene di San Pietro. Secondo la leggenda, una volta unite a quelle della prigionia del Santo, si sono saldate indissolubilmente. Non gli diceva bene, a San Pietro. A destra dell’altare troneggia il Mosè di Michelangelo, definito dall’artista “la tragedia della mia vita”, per le lunghe tribolazioni che dovette subire per terminarlo. A partire dal 1505 - quando l’eccessiva autostima di Papa Giulio II e l’assoluta necessità di garantirsi un sepolcro che avrebbe dovuto essere uno dei monumenti più grandiosi della storia dell’umanità spinse lo scultore a darsi da fare - quattro papi cospirarono per lasciare l’opera incompiuta, e in seguito per ridimensionarla di molto. Prima lo stesso Giulio II, che, volubile e disamorato del progetto, tagliò i finanziamenti costringendo Michelangelo a dedicarsi alla Cappella Sistina; Leone X, che costrinse l’artista a lavorare alla facciata di San Lorenzo; Clemente VII, che lo distrasse con le tombe Medicee e la nuova sagrestia; infine Paolo III, che ne deviò l’opera verso il Giudizio Universale. Il Mosè, in ogni caso, ha provocato per secoli discussioni sulla simbologia che pare celare, fino a scomodare i maestri della psicanalisi Freud e Jung. È un’opera magnifica, nonostante, come tante altre, si sia costretti ad ammirarla tra flash, teste distratte e gruppi vocianti.
Rapido giro al PANTHEON, seguito da un gelato probabilmente di incomparabile annata, dato il prezzo simile a quello del Sassicaia.
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