Quarto giorno. Fare strada.

L’autobus da San Giovanni in Laterano ci ha scaricati esattamente di fronte al noleggio delle bici. Con questi potenti mezzi intendevamo infatti percorrere più chilometri possibili sulla VIA APPIA ANTICA, in una sorta di trance di identificazione con il romano antico che percorreva il selciato barbaro senza colpo ferire (certo, non in bicicletta, ma ora scarseggiano le bighe). 

La strada, all’inizio, viene condivisa con le automobili, ma più si perde nella campagna più rappresenta la migliore approssimazione di quello che doveva essere un pezzetto di mondo di allora, senza costringerci a faticosi voli di fantasia. I pini marittimi si affacciano ai lati della carreggiata con la consueta eleganza; i sepolcri pagani costeggiano dignitosamente la via; iscrizioni, visi scolpiti ovunque. Le macerie sopravvivono a secoli di devastazione, pur utilizzati come cava perpetua di materiali per numerose costruzioni successive - Villa D’Este è fatta della materia della tomba di Cecilia Metella. 

La campagna sostituisce presto i rari edifici. In lontananza si intravede un acquedotto che alimentava la villa di qualche patrizio. La via, voluta dal censore Appio Claudio, partiva dall’isola Tiberina, per arrivare, dopo vari prolungamenti, fino a Brindisi. Costruita secondo i criteri di una moderna autostrada, per decine di chilometri non prevedeva nemmeno una curva. Aggiungo, per esperienza personale, che dà la sensazione di pedalare in discesa sia all’andata che al ritorno, meraviglia della natura o dell’ingegneria. L’abbiamo percorsa fino all’incrocio con il raccordo anulare. Ci siamo accontentati di ammirare dall’esterno la VILLA DEI QUINTILI, dato che l’entrata si trova sull’Appia nuova, che con la nostra posizione non aveva nulla a che fare.

Tornati al noleggio, abbiamo pranzato a straccetti e cacio e pepe in una piccola trattoria il cui padrone presentava quella leggendaria rusticità non ridotta a macchietta dalle orde dei visitatori tipica di altri quartieri della città. Fantastico lo scambio al tavolo vicino: 
- Che ci consiglia? 
- Annatevene, siete ancora in tempo! 

Dopo mangiato, tra badilate di turisti siamo arrivati alle CATACOMBE DI SAN SEBASTIANO. La guida, animata dal sacro fuoco (ar culo), correva con furore tra le meraviglie che ci era consentito di vedere. Abbiamo scoperto che il nome catacomba, utilizzato ora universalmente, deriva proprio da quelle della via Appia, che furono costruite su una cavità arenaria (dal greco Katà, presso, e kimbas, cavità) e che tutte le catacombe sono proprietà del Vaticano. Più suggestivo della cripta di San Sebastiano e delle catacombe cristiane che è concesso visitare, con qualche iscrizione e cubicoli scavati nelle pareti, è stato il settore che contiene tombe di famiglia pagane, rimasto coperto di terra scavata per le sepolture successive e dunque inalterato (e non saccheggiato) fino a tempi recenti. Tra gli affreschi di una dolcezza commovente, le anfore, si potevano immaginare le impronte dei costruttori e dei familiari in visita. Non poteva mancare, prima di restituire le bici, la visita alle FOSSE ARDEATINE, con splendida visita guidata da parte del nipote di una delle vittime del massacro. Le grotte dove avvenne l’omicidio di 335 persone sono state trasformate in un mausoleo. Vicino, le tombe allineate, tra cui diciotto rimaste senza nome.

Commenti

Post popolari in questo blog

Quarto giorno. Hugo e l'ammasso di bulloni.

Secondo giorno. Mattina nel cuore antico.

Settimo giorno. I contrasti.